martedì 31 gennaio 2012

trascorsi

Se roca intridi d'estasi la voce
per ricamarmi addosso umidi baci
versami sospirose ragnatele
che brividi si saldino alle vene…

Sono un passaggio obbligato. A volte sfuocato, spesso emblema del più sguaiato pestaggio. Nero, violaceo, m'ha lasciato i segni del suo amore sfogatomi addosso insieme alle sue frustrazioni e alla sua eterna insoddisfazione. Io non appartengo a me stessa. Ma non sono nemmeno sua. Trasfigura e brucia. Sono il suo tizzone, su di me si piega, si ravviva, sputa fuori tutta la sua rabbia e mi rabbonisce in un continuo crescere di mania incendiaria e successivo pentimento, struggente e malinconico, in cerca di redenzione. Io non sono in questo corpo, ci son finita per sbaglio. E non serve inchiodarmi in croce, incoronarmi coi rovi, scorticarmi per trovare una via di scampo. È tutto inaspettato. Si deve solo aspettare di invecchiare, nudi stesi sul pavimento, con un libro in mano, leggi e volta, ricomincia daccapo, termina, finalizza. Troverò tra le righe la perfezione tanto a lungo cercata, la ricchezza intellettuale di cui ho veramente bisogno. Ragiono, penso e m'ostino; mi lacero fino a diventar nulla: un raffinatissimo pegno con il quale ripagare le sue continue rapine e i suoi abusi.

… arroventando pelle alla mia pelle
sfogliami comprovando i miei dinieghi
così che me ne scenda vinta infine
e vittoriosa accolga le catene


i versi sono estratti da Passo nel fuoco di Rita R. Florit

giovedì 26 gennaio 2012

aliens

Mil è a pezzi. Preoccupazioni, marito, figli? Macché. Ricordi. Stanchezza. Sfiducia. Lavoro. Te l'avevo detto io: lascia stare, se svolti lì in fondo alla via, fai una scelta grave. Dopo non si torna indietro. Lo sai. Ma lei, è sempre stata schiva e i consigli le facevano schifo. Le bruciavano la lingua e le fischiavano le orecchie. Doveva fare di testa sua. E ha continuato a portarsi dietro nello zaino, bombolette e markers. Ad ogni buona occasione filava via e si rifugiava nel campetto poco fuori in periferia, quello adiacente alla fiera. E lì, in libertà con la musica, colorava muri grigi. Ci fantasticava sù tutta la notte e al mattino sapeva già cosa fare. Un fiore gigantesco in mezzo a una discarica. Un bimbo che gioca tra i soldati armati fino ai denti. Un clochard felice in una strada affollata da migliaia di esaltati dello shopping… Tante immagini la incalzavano, la volevano, posavano e venivano ritratte sulla monotonia e sulla mostruosità. Era brava, Mil. Sapeva dar forma al mondo surreale, lei conosceva le tecniche giuste per penetrarlo, afferrarlo, ricomporlo. Inutile cercare di sfuggirle. Riusciva sempre ad artigliare la materia inebriante e a sciogliere la pastosità di una tonalità troppo densa ed ostica e a renderla dolce sfumatura delle sue visioni. Eccole. Si scorgono, basta affacciarsi. Abbassa le palpebre e attraverso la fessura si rivede. Si sveglia prima del trillo con un guizzo genialoide. Un'ideona. Bla bla bla - oggi m'interrogano - bla bla bla - non ripeto mai ad alta voce - bla bla bla - li stupirò tutti, cazzo era Goya? Ed Ernst? Stranieri passano in strada per caso due sguardi diversi si incontrano, ed io sono te, e ciò che vedo sono io, e ti prenderò per mano per guidarti nel paese, ed aiutami a capire meglio che posso… Un fulmine a ciel sereno. Passa presto. Dura poco, quanto una scarica 500v. Bruciatura tatuata. Buio pesto. Sosta terminata. In contrasto netto col progetto distruttivo, sceglie una rotta diversa. E basta con gli schemi rigidi e finiamola con la tradizione dell'invasione. Quello vira improvviso, inverte e se la porta via. Non se ne sa più nulla. È stata rapita un giorno, in pieno giorno, mentre andava a scuola. Alla destra Grà e Giò, alla sinistra Anna e Sigi. Dietro Giù, Frà e Paolo. Sù, più sù. Cloudless everyday you fall upon my waking eyes inviting and inciting me to rise and through the window in on sunlight wings a million bright ambassadors of morning… scorcio interno, dallo squarcio fuori confuso dalle prospettive, in sovrapposizione un sorriso e un ghigno. Meglio, molto meglio. Gioco di toni e scala di sonorità. La sali, piede avanti all'altro, dentro ai solchi del disco e tocchi le vette del sublime. Quali estranei? Sto in famiglia. David Gilmour somiglia a mio zio… ritratto venuto benissimo. Mil, alias Storm Thorgerson.


inframmezzate voci lontane di pink floyd..

martedì 17 gennaio 2012

in viaggio


Son rimasta ferma troppo tempo… ho finito per incartapecorirmi. Dov'è finito l'anfibio che si dibatteva nella vertigine dei giochi d'aria e si combinava col respiro sconfinato? Ho giocato troppo con la visione rigida, ho rincorso per secoli il contraddittorio. Chi credevo d'essere? Evidentemente questa sensazione carezzevole e allo stesso tempo rischiosa di appendersi e rimanere preda della ragnatela tesa rende con un'esattezza impressionante le prospettive ingannevoli, orribili. C'era un'iniziale miniata a segnare la partenza e qui il primo paradosso: l'inchiostro termina. Minuziosa amanuense, sperimento nuovi accostamenti, penso a rivoluzionare, creando una scrittura di tipo extra letterario. Incrocio, sospendo, punteggio di immagini, di musiche. Quando ho raggiunto la mia meta? Mai. Non c'è dimensione temporale che inquadri il mio favoloso pellegrinaggio, né un modello di riferimento che possa consumare la peregrinazione. Incombe e soccombe. Ne scruto ogni minuscolo particolare e scopro un mondo a sé e allo stesso tempo avverto come mie le crepe e gli interstizi di un grande mosaico in cui ogni tessera componga l'insieme, ma viva di vita propria, s'estenda e invisibilmente cresca, incastonandosi, come un cancro pulsante in un corpo, sospeso sull'abisso. Li guido io. Sanno che più di tanto la rete non regge. La conosco la periferia di me stessa: punteggiata di significati, ad ogni pagina, paragrafo, giro di frase. Li invito nel mio labirinto, ma non offro assicurazione alcuna. Si potrebbe non uscirne dopo tanto vagabondare. Insegnerò a non averne paura. Il quadro spaventoso si capovolgerà, la fantasia avrà la meglio sull'orrore, il sogno sull'incubo. Cos'è che m'avvolge e mi protegge? L'enigma verbale, l'esperienza futura, l'invisibile presente.

Scrivere mobilita un importante segmento del corpo: è un'applicazione fisica del pensiero. Da qualche settimana so che provocherò un disastro aereo, e lo organizzo. La novità è che adesso lo scrivo. Ebbene, scriverlo è molto più forte che il solo concepirlo nella propria testa.
Amelie Nothomb - Il viaggio d'inverno


sù: Balthus La dormeuse

domenica 1 gennaio 2012

concorro?

Barney Mayerson si svegliò con un mal di testa fuori dal comune, per scoprire che si trovava in una camera da letto nient'affatto familiare in un appcon nient'affatto familiare. Al suo fianco, con le coperte che le arrivavano fino alle spalle nude e lisce, continuava a dormire una ragazza nient'affatto familiare, che respirava lievemente con la bocca, i capelli una matassa di bianco cotonato.

Si alzò, giù le gambe penzoloni fuori dal grande letto. Si issò a fatica e, nell'atto di grattarsi, si accorse di aver indosso uno strano slip nient'affatto familiare. Un pensiero compiuto o in via di risoluzione riuscì a far capolino nella nebbia fitta che non c'era speranza si diradasse. Come era finito lì? In seguito, quasi sicuramente, si sarebbe fatto largo l'altro, quello importante e serio: chi diavolo era la bambola?
Intanto bisognava adempiere a un bisogno primario, vitale e procedere con lo scarico di tutti i liquidi in eccesso. Sì, facile a dirsi. Dov'era il bagno? A tentoni, scansando tacchi, bottiglie vuote e... maledizione, si morse il labbro a sangue per non urlare a squarciagola. Il suo piede, cornice in pezzi, urto, dolore lancinante e imprecazione, in un tutt'uno gli spalancarono occhi e mente. Una lunga pisciata per cacciar fuori i dubbi e far posto alla coscienza sobria. Fu sull'ultimo getto e successiva scrollatina che credette di ricordare. Gli occhi strizzati in una minuscola fessura come per concentrarsi meglio. Nel muro scrostato sopra il cesso una bella scritta a caratteri cubitali, rosso scarlatto, recitava: puttane e grandi poeti dovrebbero evitarsi - le loro professioni sono pericolosamente simili. Rivelazione abbagliante l'immagine abbastanza chiara: la ragazza che ammirava la sua opera. La sfogliava, se la portava al petto come a proteggerla o farne scudo, faceva per riporla, ma poi ci ripensava. Era nell'angolo più buio della libreria. Lo squarcio ocra che penetrava dal lucernario donava una sfumatura caldissima ai capelli lisci, sottili che le accarezzavano le spalle. Un ciuffo ribelle svolgeva in avanti e si poggiava delicatamente a incorniciarle il profilo, poi si nascondeva nella generosa scollatura, muovendosi a ritmo col suo respiro. Un vertiginoso stacco di gambe. Un abito morbido che la avvolgeva e la disegnava. Sarebbe rimasto lì ad ammirare la ragazza che ammirava la sua opera per ore, per anni, per secoli. Ma, diavolo di un indeciso, bisognava farsi avanti, smetterla una buona volta di giocare al peg solitaire. Quella dama era lì per lui, prossima mossa saltare due o tre pedine ai bordi che attendevano un suo autografo e puntare al centro del tavoliere. Era il giorno in cui avrebbe mangiato. Il suo ideale femminile era lì a un quadrato di mattone da lui. Ora la vedeva bene. Più alta, lo superava di dieci centimetri. Più magra, rientrava nella categoria pesi leggeri. Più scura, un incarnato stupendamente mulatto che cozzava con la chioma chiara. Intorno buio. Si sentiva osservata, sicuro. Se avesse aspettato ancora, si sarebbe fatta notte, possibile. Si voltò, necessario. Il ciuffo rivelò uno squarcio profondo all'altezza dello zigomo sinistro, sipario. La scena si aprì e si blindò. Il palco divenne di entrambi. I sorrisi, uno appena accennato, l'altro accentuato. Le mani, un paio nervoso e umido, l'altro insistente e avvolgente. Occhio verde di una tonalità intensa, ricci grigi e barbetta incolta. Naso affilato e capezzoli appuntiti. Libro sotto il braccio e via verso casa. Da te o da me? Fianco a fianco sull'acciottolato scivoloso. Tre traverse, un incrocio, trecento metri, strisce pedonali, verde, avanti, cancelletto grigio semiaperto, sentierino di ghiaia, chiavi, toppa, portone oro, subito a sinistra, porta bianca, aperta, dentro, chiusa. Lo spinse sul letto e cominciò a sfilare il poco che aveva addosso. In un attimo gli fu sopra e a lui che tentava di metter mano ai bottoni della camicia impedì ogni movimento. Faceva tutto lei. Era o non era una professionista? Ci sapeva fare sì. Tentò più volte di parlarle, di chiederle, di sapere. Era uno sforzo inutile in cui, lo capì, si sarebbe consumato. Rinunciò volentieri. La bocca, la usava, sicuro, ma per tappare la sua, mordere e succhiare. Gli si avvinghiava più stretta, gli bloccava la lingua e introduceva la sua in un vorticoso dentro e fuori che riusciva a provocargli un piacere quasi disumano. Le mani, poi, sapientemente dosavano carezze e strette improvvise come per prelevare e immagazzinare dati, studiare e misurare a millimetri pelle, muscoli, ossa. Giocava bene. Ma, si capiva, non conosceva fatica, regole, né tempo, tesa e disponibile a ricominciare subito dopo ogni amplesso, complice una suadente Janis Joplin che dettava ritmo e resistenza. Unici intervalli concessi tre dita di whiskey senza ghiaccio e canna per due. Quando avesse sorbito l'ultimo goccio, quando l'ultimo tiro, non l'avrebbe ricordato se non nel momento in cui, schiacciato contro il muro, tra il lavandino e la finestra, ormai dissolti i fumi di alcol e droga, non avesse avvertito lancinante e bruciante una deflagrazione all'altezza del basso ventre, ormai bluastro, quasi nero, ricucito alla meglio… Sarebbe rimasto lì ad ammirare l'opera per ore, per anni, per secoli.


Cos'è? Un gioco… esperimento in Lankelot