giovedì 28 ottobre 2010

eccesso di compagnia



Frastagliami, immergiti nelle profondità ghiacciate, pesca tutta la violenza del mio colore, cattura quel riflesso e realizza una splendida immagine di copertina… Sta pulsando lo sento, è così armonico e allo stesso tempo talmente piagato, ricco e incessante che non smetterei mai, mi accompagna fedele, si muove con destrezza, mi uniforma, mi stimola con carezze sempre più sognanti, mi muove e mi separa, mi raccoglie e mi unisce, sfuma e introduce nuove screziature e io mi addentro in abissi di tenebra, distanti e progressivi sprazzi di luce addensano e coinvolgono… me sola, rara, viva. Ti sei stabilmente trasferito dentro me, hai improntato tutto, grande curioso e corposo esploratore. Non ti basta indossare un caschetto con fiamma al propano: ci sono vie sconosciute e residui di scoperta appena accennati nei testi che consulti, un universo di suoni e immagini ai quali solo io posso accedere e permettere il passaggio attraverso una serie di aperture, sempre esposta al rischio e giocata con la conferma della difficile comunicabilità. Puoi presagire, puoi variare la strategia, puoi avanzare sicuro o tentennare… io, io sola posso spiccare o saldare le differenze, riprodurre e travalicare, affondare o offrire uno scoglio liscio su cui planare e poggiare. Imposta e introduci i dati. Ti indicherò l'itinerario, lunga-lenta-con-soste-ristoro.


Le solitudini sono perfette, solo le solitudini

mercoledì 27 ottobre 2010

Offro

Un albero svettante, alto, sottile, forte. Dove sei? Son qui. Lo reggo, ti sostengo. Tu mi porgi una coppa con del sangue e io ne bevo. Immobile attendo che ne prenda e partiamo con in mente la bellezza di un fermo immagine. Non è un dettaglio, è un chiaro indizio. Guarda, dici, guarda le mie lacrime, guarda a me, cuore e occhi piangono a te amaramente. Abbozzi un sorriso, ma so, quanto soffri e quanti pochi giorni hai da vivere. Due giorni fa ho saputo di te e della tua anima che sta lasciando da mesi il tuo corpo e nulla puoi… Cara, cosa posso io? Nulla, rispondi, i committenti han deciso. La tela è pronta, e passano a ritirarla! È un'offerta, lo faccio volentieri. E tu non dovrai far altro che ringraziare tutti, baciare per me quelli che voglio che vengano, e consegnar loro quello che son stata e immaginare quel che avrei potuto diventare. Sei un'opera incompiuta, un abbozzo, troppo giovane e singolare, tratteggiata ma così evidente, manifestazione e meditazione molto profonda, per nulla banale. Ti stagli in forte contrasto su un cielo grigio plumbeo, tutt'uno con l'acqua e con la curva erbosa, le radici ti inclinano, ikebana grande e meraviglioso, non hai più chioma e i rami due o tre appena, sono ritti e fiochi, ma tu riluci sulla superficie caliginosa. Tanto silenzio e aria immota mi congelano. Son seduto sull'erba, la schiena a farti da base, o io m'appoggio a te? Ehi… ohhh! Hai sete, ho dell'acqua. Son serio, non scherzare… ma tu non rispondi, te ne sei andata zitta, zitta col buio e io? Che ci faccio con questo secchio in mano? Te ne lascio un po', in dono, è pesante, ma cos'è un dono senza sacrificio?

dal 2007 (Milano - Marzo)

lunedì 25 ottobre 2010

sfoglia…

… gira. Agita. Non è qui. Ti farei saltare io, per bene. Non ha per niente un buon sapore, secondo me ci hai messo troppa menta, o troppo rum. C'è un fondo di amaro che non sopporto. Crisi? Lavora. Precario? Espatria. Ignorante? Leggi. Il fatto è che sì, ti dico, capisco. E invece no, non riesco a calzare quei panni, mi farebbero sembrare un clown. Dovrei forse spe ri menta re. Rimango immobile per una giornata. Piazzo un bel piedistallo, mi impiastriccio la faccia con del cerone rosso, m'isso e sotto la pioggia o il solleone m'aspetto. … continua a girare. L'intruglio non è ancora ben prodotto. Ci hai passato sù una zaffata di caldo e candido troppo raffinato. Un attimo fa mi avrebbe fatto girare la testa, ora mi sale sù un soffio di schifo. Sei in buone mani. Ti farò diventare famoso. Che? Chi te l'ha chiesto? Lavoro? Crisi. Viaggio? Pirata. Leggo? M'infiammo. Credo, farò una strage. Mi caricherò sulle mani tutta l'anima che riuscirò a prenderti e mi saturerò gli occhi, sempre più contrasto, ancora di più. Una cosa è certa non sai mischiare, scuotere e sbattere e non provi gusto nemmeno ad incazzarti. Tutto quello che devi fare è farti ricoprire, andare alla deriva, in quel largo cambio di rotta ti lasci naufragare e poi, se ne hai voglia, riemergi e ti perdi in questo nero senza lime, spruzzaci soda e passamelo. Trito? No, per la precisione, è spaccato di vita mia a mano. Ora.


il cielo non mi giura tregua…

venerdì 22 ottobre 2010

metamorfosi


Trasformazione! È una favola splendida, un affresco sontuoso che la mia sfarzosa immaginazione ha creato e ha raccontato. Sono una sensibilità inquieta, tormentata, che trova nel cambiare aspetto l'unica via d'uscita a una situazione impossibile. Amore non è desiderare l'altro diverso… e infatti ne ho fatto una bella copia e me ne sono innamorata. L'ho plasmato a mia immagine e somiglianza, ed essendomi resa conto dell'errore, ho cambiato qualcosina e l'ho reso uomo. Ma no, non è passione malata, è semplice spirito di sopravvivenza, attaccamento alla famiglia, fedeltà coniugale e dedizione! Un uomo tranquillo, quiet, da sposare subito. Ma con chi? Non reggerebbe una settimana. Nessuna dote, né armoniose tendine rosa, sospetto a volontà che rifiuterebbe di consumar le nozze, in attesa paziente che la sacra fortuna annulli tutto per intervento falloso da cartellino rosso e mandi le due squadre nello spogliatoio: pari merito, sfida dispari. Credevo di aver imparato regole e procedimento. Avanzo di due caselle, son in pericolo, fa per mangiarmi, io retrocedo. Studio e m'infurbisco, aggiro l'ostacolo, il cavallo fa le bizze, s'avvede, si gira di scatto, mi disarciona. Dalle quinte, una voce irata mi redarguisce: cosa t'avevo detto? Di non rimanere scoperta sul fianco! Mi rialzo di slancio, porto la mano al fodero, ma infedele e avaro, quello m'inganna e mi lascia a secco. L'amore è una guerra spietata. Sleale e disonesto sentimento, mai mostrarsi deboli e indifesi. Il regista pare ora soddisfatto. Rigore e precisione sono i fondamentali. Salvezza. Misericordioso mi lascia andare indenne. E chi pagherà? Chi risarcirà? A non versar sangue, ars vinta, e umiliata, è star peggio. Strano, avevo l'idea che si finisse in duello. Sì, così, io lui contro destino crudele. Ci aveva raffigurati diversi, ci aveva resi uguali, ci aveva divisi in fine.


Quanto più amore mi trafisse, quanto più crudelmente m'arse, su di lui tanto più grande prenderò vendetta.

mercoledì 20 ottobre 2010

la luce


Il ragazzo si china, allunga le mani che passano attraverso il soffice del cirro, preleva la bianca sfera, la solleva e me la porge. Che bella! dico io - non avevo mai visto così tanta luce, e mi rimetto in marcia. Dietro, lui si raccomanda: la perfidia potrebbe ritorcersi contro di te, abbine cura, è solo un simbolo. Ma io me ne dimentico ben presto. La infilo alla sommità del bastone ricurvo e la mostro, come se fosse lo scettro. Ho un gran sonno, mi corico alla base delle rocce e m'addormento. Al risveglio non ho più la vista. Allungo la mano e lo tocco. È lì, ma io non posso più vederlo. Avrei solo voluto che tutti beneficiassero di tutto quello splendore, urlo a me stessa. E invece mi ha accecata per sempre.
"La vita e la morte sono come due scaglie della stessa corazza, l'una vicino all'altra". Questo è un paradiso sulla terra, non avrei mai voluto lasciarlo, perché andar via? Perché quel tempo non c'è più. Perché la nostalgia per un tempo che non c'è più è troppo grande e impossibile da sopportare. Nulla è più così bello e incontaminato. Dune, calde nuvole che avvolgono e seppelliscono. Energia e magia ormai perduta, panorama che sarebbe stato meglio che non fosse mai intaccato da quei maledetti enormi pneumatici, vita morte, distruzione e rinascita. Incanto grande, antico e favoloso, profetico e giallo. Quel bastone mi serve per il sacrificio, domani mi servirà per avanzare a fatica, non più snello, non più veloce. Favola e realtà. Mi purifico e torno al primo stadio della conoscenza. Acqua e fuoco…

lunedì 18 ottobre 2010

nothing's shocking


Secondo te non ho stabilito che volessi venderli tutti? Circolavano tanti pezzi, interpreti carichi di ninnoli, bianchi di cerone, labbra cariche di rosso, capelli ritti e piumati, abiti inverosimili di donnine facili, nei college, nei circoli bene, e io avevo previsto che così fosse. Bistra e strabuzza, occhio che non duole e cuore che non vede, guarda come getto il seme della scoperta sbruffona, invenzione che appaga ogni tua morbosa curiosità, tentativo pubblicitario ridicolo, ma magicamente efficace. Hai toppato, maschera vergognosa, triste e sola, ignobile e prigioniera, vecchia e brutta travestita da immagine del desiderio, capricciosa e sacra icona, smetti quei panni e furbamente imprendi senza porti domande, goditi il segno della catena stretta, registra il suono del clangore della libertà. Leggi abbastanza, scegli la lettura che ti appaghi, che ti sfugga dalla miserabile vita? Per essere grande, immenso, dalla spiaggia dell'ignoranza giungi fino al mare aperto. Cos'è quel gonfiore? Mi attira e mi mina in una lunga cavalcata durante la quale mi si rivela un mondo nuovo, un'interminabile e ossessivo cantilenato, violento e bombardante motivo: potresti far male al bimbo. Non avrei dovuto, è pericoloso. Ma è una danza macabra, tribale e celestiale, alla fine in una roboante spinta dò alla luce un figlio, cosa vuoi che veda? Energia assolata e ipnosi suggestiva, non sono inutile, sono ancora perla, gemma splendente, fuoco intorno e dentro ai falò, in conflitto e in accordo con la mia maturità… sta zitta, un po', il giusto, lo squarcio è troppo largo, campeggia sul candore del lenzuolo mistico, voglio bruciare e cancellare l'errore, lui è venuto fuori e mi stampa un pianto tenue, nemmeno il dolce latte lo quieta, e io intono il mio migliore assolo. In tempi diversi avrebbe spaccato e scorticato il mio gracchio, oggi è miele e sonno, diluvio universale che ricopre e travolge e spazza via le remore e le ultime difese, abbandonati e comincia il tuo itinerante sonno, ne uscirai nuovo, esaltato e più potente, ora dormi…

Noi due siamo posseduti da uno spirito maligno. Il demone della fine del secolo.

giovedì 14 ottobre 2010

maree



Dalle loro chiome cadono, avvizziti, i fiori.

Perfino l'aria che respirano reca in sé il sentore della morte.

Ecco l'ombra incombere, ecco la luce venir meno.

Fosti preso a pelle, quegli occhi spaventosi e fugaci, quella linea della bocca rivolta in basso, mi colpirono, durante un giro distratto, casuale e rotondo, in accoppiata vincente il tuo braccio e la mia spalla si son cambiati repentini e si son raccontati insoddisfazione e infelicità, senza saper nulla di te, della tua storia, della tua voce, io, la mia storia, il mio silenzio. Nulla. Un corpo e le sue suggestioni, anima e corpo si fusero trovando una unica e indivisibile virtù, all'incrocio non c'era alcun segnale di bivio, solo uno sguardo diverso che contemplasse ed esaltasse la bellezza e la sorpresa. Dal buio pesto grazie a un raggio di luna, oh, che fortunata coincidenza, il tuo volto, levità e armonia, esce dalla confusione dell'ombra e si rivela; a me che indago, ossessiva e arida, regali stralci d'incanto e spirito eroico, trasportandomi ora con forza ora con dolcezza, come onde frangenti, tempestose e persistenti, all'apertura del sentimento, alla conoscenza di sé, all'intimità della natura…



Trasse un profondo respiro e fu come se una parte di quell'invisibile che costituisce la natura avesse permeato l'intimità del suo essere. Yukio Mishima

martedì 12 ottobre 2010

dear…


Scosta quei capelli ché non vedo l'espressione che hai negli occhi. Maledetto pagliaio in disordine, ti ci nascondi e ti prepari ad attaccarmi. È un berretto al quale non potresti mai rinunciare capitano. Ai gradi sì, quelli li hai staccati a morsi e li hai sputati lontanissimo. Avevi un progetto e lo hai completato. Sei contento? Che inietti? Nel candido letto ci sono chiazze scure. Un variegato da intenditori. Buono, ricco, mai superficiale. Sotto la scorza da impassibile e carismatico, gratta, gratta eccolo, lo scavezzacollo, eccezione e conferma, sì, però le regole lasciamo che le rispettino altri, io ho voglia di viaggiare, molla gli ormeggi e salpiamo. Dispiega quel lenzuolo, soffiaci vento e via… linfa vitale, sento rintocchi lì ad ovest, non mi va di attraccare, non la voglio ancora la terraferma, arrampicati sull'albero maestro e allontanala, quando scenderai ti prometto notti insonni e rumorose e spruzzate leggere di nostalgiche tonalità. Vuoi che salga anch'io? Solcheremo i cieli, rasenteremo la pazzia in vista della celestiale melodia e nella tua chioma si fermeranno i cirri a donare riposo alle nostre lingue stanche e alle nostre pagine piene. Molto romantico. Delizioso e stretto. È tutto un buon presupposto, tu mi ricordi, ma io non credo, è perfetto, troppo…. Scelta dei tempi e livelli emozionali, sofferto insieme, splendido stato di grazia. Qualcosa mi ticchetta sulla spalla… tocca corde dimenticate, profonde, crudele e rilassato. Io no, perdo l'equilibrio, mescolo e rimescolo, mi rabbuio e sfavillo, m'incupisco, un ultimo barlume… è il tocco di quella libertà che mi ucciderà, dedicami una canzone quando non ci sarò più, dovrà essere legata indissolubilmente all'immersione intima che aprirà e chiuderà, dialogo distensivo, pianto e riso, rumori di sottofondo, usci socchiusi e correnti d'aria improvvisa, una secchiata d'acqua… sale negli occhi e sulle labbra, capelli intasati e orecchie zuppe, tu mi lecchi sul polso, depositi una traccia indelebile, m'arrabbio, ma rido, tu batti le mani, contento, standing ovation: tempi duri e grinta da vendere, energia e sogni, stagioni piene, caldo sopportabile, freddo scolastico, ispirazione da canuto bambino, scherzi e giochi, vita e sincerità, sorte tirata e salvezza guadagnata, sposta quella virgola, non mettere il punto, non esagerare con i sospensivi, sono impigliata da una ragnatela tessuta ad arte, io sono il ragno? A turno

lunedì 11 ottobre 2010

quid est amor


La speranza di pure rivederti
m'abbandonava;
e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d'immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio.

L'espressione mia dovrebbe essere più o meno quella. Occhi sbarrati e bocca aperta in una O con durata minima di tre minuti. Vorrei vedere se vi capitasse uno così cosa fareste. A me è salito un brevissimo brivido gelido lungo tutta la schiena come solo la morte può regalare nel momento in cui decide di farvi visita. Non bussa mica, entra e nemmeno un invito a prendere un caffè potrebbe ritardare il previsto epilogo, prego si accomodi, mi farebbe piacere offrirLe qualcosa da bere, che so un digestivo. Mi aspetterei che scoppiasse a ridere, vi soffiasse in faccia una zaffata di sana e mefitica afasia, vi tranciasse di netto e… buon riposo! Ecco a voi una tragedia che si è consumata in poco più di cinque minuti.
Prima o poi.
Prendo un bel foglio di carta bianco, prendo in mano la matita, traccio in mezzo un bel cerchio, con le forbici percorro tutto il perimetro ed ecco un bel buco, lo avvicino alla faccia e guardo attraverso. Se sei attento, lo vedi… Lo vedi? Certo, lo vedo. L'ho immaginato con tale forza, e ho determinato, con precisione l'incontro con lui. Non diciamo castronerie, però. Non è che si tocchi il cielo con un dito. Non si arriva a Lui, attraverso lui. Ho fantasia, la uso e attraverso lo sguardo trasparente privo di ogni impurità lo trovo manifestato e dipinto, qui, davanti a me, riflesso della mia immagine, confuso sempre sul piano metaforico e su quello reale, rappresentazione vivente di un segno profondo, radicale, certo… fantasma e fulcro della mia ispirazione.
Così, alzati,
finché spunti la trottola il suo perno
ma il solco resti inciso. Poi, nient'altro.
dal 2005 (Milano - Giugno)

venerdì 8 ottobre 2010

meccanismi


Sta per scattare. È un congegno preciso. Orologeria. Minuteria. Gioielleria. Dramma e comicità nel contempo. Incipit e conclusione che danno tono e senso; sconosciuta tragicità che mi strappa un sorriso e mi toglie il fiato. Mi ha staccato di netto l'innocenza, ghigliottina del passato, speculare evento nel corso della rivoluzione del mio pensiero. Vent'anni fa avrei pensato male, causa tabù e larghissimo senso di colpa, oggi militante della resistenza ad oltranza contro ogni tipo di tirannia, inauguro felicemente la seconda metà della mia rassegna filmosofica. Devastante e crudele per il mio senso d'orgogliosa inappetenza cinematografica estiva. Mi infilo di soppiatto e sfilo schierandomi dalla parte dei soliti sospetti, diventando l'ostaggio dallo sguardo vuoto, assumendo l'aspetto del condannato, quello della foto-tessera segnaletica inespressiva e inquietante. Ciak, riciak, decimo ciak, ventesimo… Operazione conclusa, film consegnato alla distribuzione in sala. I critici per forza rimangano fuori. Ne ho destinati tanti nelle spedizioni oltregalassia, anni luce lontani, fuori dalle stelle. È tempo di operare, somministrare un bel sedativo alle burocrazie inutili e dannose. Mi rifiuto di piegarmi, ho un dolore lancinante zona lombare, non crediate che io non possa scegliere la posizione che più mi si confà, ho passato l'adolescenza a studiare, bacio il mio primo uomo per fargli dimenticare il brutto mestiere che fa: il becchino, procamùrt, si dice al mio paese, sottofondo musicale manco a dirlo I'm old fashioned di Coltrane; mi faccio toccare per la prima volta durante la rassegna di fuochi d'artificio, bel botto; mi lascio andare definitivamente e con passione, durante un film, di Antonioni, e non erano ancora arrivate le scene imputate di provocata estasi; era scritto nel mio DNA, dalla non aspettare!

giovedì 7 ottobre 2010

dogma 95 (9)


Questo non è un manifesto religioso. Potrebbe essere invece l'inizio di una nuova onda. Una possibilità di affogare i dinosauri.

Giuro, solennemente, giuro… metto radici nel negoziato tra ministro della cultura e regista, esaspero al massimo le trattative e redigo un decalogo di verità pressoché sconosciute, ma rese necessarie dall'impero della decadenza e della paralisi che corrompe, sevizia e deteriora il nostro vivere. È ormai impellente. Ci sono tutte le premesse: troppi effetti speciali, troppo sentimentalismo becero, assenza di invenzione. Ecologie du regard. Siamo perspicaci, avanziamo sicuri e sbaragliamo la concorrenza. Nulla potrà contro la nostra differenza. È un manifesto. È un programma. È norma. È forma. È linguaggio. Tutto si girerà con macchina steadcam in nome dell'arte, del metodo e della tecnica. Si stabilirà tutto a priori, e diventerà un marchio di fabbrica, seriale finché non avremo raggiunto il perfetto equilibrio. Ne usciranno capolavori. Ve l'assicuro. Campioni d'incasso. Successoni da botteghini esauriti. Ci chiederanno l'autografo. Ci diranno bravi, prima che riusciamo a cominciare… a uscire. Presi d'assalto dai cosiddetti estimatori, agenti e distributori. Un bisiniss internazionale. E noi vogliamo che sia così. Cos'è la visione? È quello che vorremmo che fossimo, quello che sarebbe stato giusto esser già diventati, la meta ambita da volenterosi stagisti e aspiranti registi. Vinterberg diceva in un documentario:
solo le regole specifiche si sono rivelate utili, come quella di girare con la macchina a mano, o di non utilizzare accessori o scenografie ricostruite. Quando si vive in un piccolo paese, è necessario urlare per farsi prestare attenzione. Forse che si sia scoperta l'acqua calda? Può darsi. Se a fronte di critiche sugli scarsi risultati e la mancanza di ingenti somme da spendere si frapponesse finalmente un'originale, tacita e sottintesa volontà di avanzare, approfittare di onorevoli vie d'uscita, scavalcare ostacoli perenni e fare qualcosa di nuovo? Ci sto, sottoscrivo, ultima voce delle dieci: il regista non deve essere accreditato. Il merito è sommatoria di tutti i nove e più… o meno idioti!



… sono i visitatori di un altro pianeta o dello spazio.

mercoledì 6 ottobre 2010

la cosa

Idea allo stato gassoso. Una sostanza indefinita che si poggia su un gomito con la mezza faccia nella mano a guardarmi, bocca piegata in un ghigno perfido, occhio mezzo chiuso e storto, naso arricciato e unghie nel velluto della guancia. Lasciano un segno e una riga violacea. È inutile che ci passi sù il palmo o una spazzolata carezzevole. Ormai hai fatto il danno. E la mia idea? Sì stupenda, tutto ciò che avresti potuto desiderare. Ma non basta. Come, e il tutto? Cosa vuoi che me ne faccia? M'impegno, il risultato non cambia, il voto non mi interessa e l'aspetto è immutato, lo stesso suono da mesi, mhhh… identico all'idea che ho di te. Indefinita. Tu sai che stai facendo un errore. Lo senti. L'intuito deve aver fatto la sua comparsa anche in te, in qualche remoto angolino, ci ha scavato una piccola dimora, 1 metro quadro, bagno, letto e cucinotto. La ragione ha il sopravvento. Le sensazioni se vuoi te le impresto. Ne ho quante ne vuoi. Buone, cattive, medie e da scartare, ma sempre istinto è, e che a te piaccia o no, fanno parte del pacchetto regalo. Ritirare alla cassa lo scontrino. Sarà pure gratis, ma io voglio far le cose in regola… non si sa mai, dopo, qualcuno voglia rendere o esprimere lamentele. Capire, decifrare, capire? Ma basta, non puoi precisar metodo su tutto, ti allontaneresti irrimediabilmente dal bello e una volta perdute quelle strade che fai? Rimani sul ciglio a goderti la vista, magari fai uno scherzetto a qualcuno? Io sì, lo farei. Giappone mio maestro di cinema e di vita. Tu? No, aspetti l'autobus ci salti sù e ingrani la marcia giusta. Non sono io, quella. Ma siediti e goditela. Nelle cuffie avrà sicuramente la musica che piace a te. È finzione, e tu fai da controfigura. L'ambientazione è adatta a te. Aderiscile sulla sinistra, puoi aggiustare le luci, ma il set non lo costruisci tu, non illuderti. Io alla macchina da presa spero che un incidente al momento giusto faccia più piacevole e incoerente tutta la realizzazione. Cosa diavolo… ah, sì, bè, bello. Prendi il cestino, ho preparato dei panini, strozzati. Giusto, sbagliato, giusto! Rimedio, scusa, m'hai persa.


martedì 5 ottobre 2010

materiale


È già cominciata? Non ci facevo caso. Ha fatto l'ingresso più fastoso che si potesse immaginare. È una vera maestra in questo. Tacco quindici, abito lungo con spacco inguinale, capello raccolto a mostrare il collo elegante e flessuoso. Un serpente. Spire in moto e lingua controllata con dimestichezza, ma pronta a scattare. Ti stritolerebbe solo con una stretta. Tu lo sai e ti mantieni a distanza. Ma ti eccita. Siete animali, vi capite. Ad ogni fotogramma miagoli e le fai le fusa, ti strusci addosso alla poltrona su cui si è lanciata accavallando le gambe e ti stendi ai suoi piedi, lasciando che allunghi le gambe sulla tua schiena. Morbido, duro, arrendevole, indifferente, ostile. Se credi di averla conquistata ti sbagli. È troppo studiata nei dettagli, troppo rigida e meccanica, malata della sua stessa patologia. Ha bisogno che qualcuno la suoni di traverso, tirandola fuori dalla fissità impagliata. Devi assecondarla, viverne la fiducia, renderla consapevole del suo corpo e mettere a fuoco il tuo senza lesinare, senza risparmiarti. Avvolgila e riavvolgila. Lascia libera quella protuberanza, rotante e impeto. Morbido, accondiscendente, duro, impietoso… carne e metallo.

lunedì 4 ottobre 2010

alza il volume

A testa bassa non so stare. Ho bisogno di guardarvi dritto negli occhi. Mentre leggo, vi sento. Vento guastatore che incontri e scherzi con le pagine del mio libro girami la prossima, son troppo immerso. Non ho resistito all'invito. Proseguo nel singolare percorso della comprensione del testo e dell'acconciatura delle immagini. Trucco e parrucco alle mie parole non servono a scoprirsi, significati che continuano a nascondersi; qualcuno le sorprende dietro un angolo, tenta l'approccio, ma quelle veloci si sottraggono e fuggono via, ridendo e facendo il verso di lontano… non mi prendi! C'è un filo? Di che colore? Quanto lungo? Le domande nascono e muoiono sanguinando copiosamente su quei maledetti puntini di sospensione. Ferite non mortali, giudicate guaribili in vent'anni, saranno dimesse e circoleranno ancora più forti di prima a riempire le mie giornate e a vuotare la mia sicurezza. Intanto aggiungo musica, noto con piacere quanto possano esser gradite le colonne sonore, sottolineano e arricchiscono, danno luce a particolari rimasti nell'ombra. Ora però il fascio di luce dello spot colpisce duramente e infastidisce, ti dò un cenno di smorzare, tu capisci male e accentui il ghigno stampato su un bianco troppo intenso. Qualcuno ride, sinceramente divertito. Non era il momento. Si è materializzata una vecchia paura: non sono capace, perdo voce, avvampo, in sordina, continuo, ma ho solo voglia di finire. Sono in trappola e la biondina in prima fila non deve aver capito l'ultimo passaggio perché mi squadra mentre continua a far scricchiolare la sedia, sembra che abbia il pungiglione piazzato male. La fulmino. È l'ultimo scoppiettio, ta-ra-tta-ta, dopo una bella gara di fuochi pirotecnici, batteria in disuso che vuol farsi sentire, può ancora dare… e molto. Inciso deciso e conciso: mai più, mi faccio sempre conquistare dalla boccuccia gentile e melliflua, dagli occhietti dolci e ingannatori, dal culetto giovane e sodo. Sì girati, ho in serbo l'ultimo colpo, bella bionda non puoi nulla contro il mio loquace amichetto, ti manca cara, non puoi crederlo vero? Sei troppo sicura di te, è questo che ti frega. Ti sottopongo all'ultimo esame e il mio voto dipenderà da quanto tu sia pronto e attento, son stanco delle teorie, il teorema è chiaro, algebra pura, x e x, meno la y, bella relazione, tanta quantità, tu, io, meno la biondina, tratto lungo dai miei occhi alla tua bocca e la tua lingua è la risposta, lo sapevo, lo volevo: fatti sentire! t'ho letto sulle labbra, lo sentivo, lo scrivevo, effetto sorpresa quello che precede il gran finale.

al mio amico Terry

venerdì 1 ottobre 2010

fides et ratio


Vedere nella morte il sonno, nel tramonto
un triste oro, tale è la poesia
che è immortale e povera. La poesia
ritorna come l'aurora e il tramonto.

Un'attesa infinita… ho trascorso due notti e due giorni a bordo del mio insicuro e blando mondo migliore. Ho ancora nei piedi granelli della sabbia del salpare, gli ormeggi sciolti, l'àncora levata… nelle mani la disperazione a gocce dello svuotare senza secchi, non voglio affondare, voglio sfinire il mio dolore nella fatica, comunicare una volta arrivata la nostra solitudine, fruttare la vita, condirla con questo sale e inumidirti ancora il viso asciutto, il mio il tuo, il suo il loro, moltiplicati a dismisura, contorti in smorfie di sofferenza reali, non suggestionate. Ricordate. Scoprite e cercate. Ma non abbiate pazienza. Spingete. Sostenetevi e incoraggiate. Andiamo in porto. L'approdo è nostro.


A volte nelle sere una faccia
ci guarda dal fondo di uno specchio;
l'arte deve essere come quello specchio
che ci rivela la nostra propria faccia. J.L. Borges

Intingo la penna nell'inchiostro, pulisco ben bene e distendo la pagina. È la mia vela, su quella ho disegnato un simbolo e appeso un vessillo, s'issa e scorrazza nelle correnti più proficue, traendo beneficio dall'esperienza di esperto navigante e scafato sognatore. Dai miei dormiveglia estraggo bimbi che mangiano il vostro latte, assorbono il vostro sole, accolgono l'ospite inatteso, aggiungono un posto nel proprio cuore. Comodi vanno per mare, per terra giacciono a guardar le stelle. Cadono ai loro piedi, a miliardi, le raccogliamo e le esponiamo, una grande luce, che apra e che attraversi la colpevole ondata mitigandola in placido oceano ristoratore.