martedì 31 agosto 2010

donna


Ricordo come sorridevi,
come benedicevi quelli che avevi attorno,
me, il cielo verdastro,
la città, i passanti…

Quando faccio per rialzarmi, un altro masso, più pesante del primo, mi inchioda e spinge, deciso, contro l'angolo… penso tra me a quanto sia inutile tutto ciò, avreste potuto stringermi una corda al collo o spararmi alla nuca. Questa è la fine che merita una meretrice, e devi guardare le pietre che arrivano, devo sentirle tutte, come frecce scagliate con odio, su pelle, occhi e bocca. Non crediate che si possa strappare così una confessione, o un rimpianto, non crediate di aver vinto, solo perché un tale, insieme ad altri, seppellirà col fracasso di un colpo il sangue dell'innocente. Ah, un giorno, ho pregato che fossi felice, prima che quello sguardo si facesse pianto, ho alzato gli occhi e ho chiesto che gli uomini insegnassero al dio a bagnarsi sotto la pioggia, a camminare in mezzo al vento, a precipitarsi insieme alle stelle, qui sulla terra con noi mortali, a baciarci, a ricever e ricambiar carezze, ma la pagina sacra mi ha restituito uno schiaffo e un pugno, ha rifiutato il gentile invito, mi ha negato il piacere di servire un té nel mio miglior servizio e m'ha relegato in uno stanzino buio… arriva la voce dentro l'orecchio e una minaccia che m'ordina di guardare, ma io son rivolta al cielo a chieder i perché di un no…

Mes yeux regardent
un autre ciel

qui n'est pas d'ici
de là-bas…

… celui qui plevait
pour mon arbre

et qui me promettait
des ailes
pour ne pas m'apprendre
à voler.

lunedì 30 agosto 2010

pas de deux


Le figure si uniscono, si separano, sinestesia tra note, immagini, suoni, respiri, muscoli… Intesa e scontro, congiunzione e sottrazione. Desumo, son certa, testimonio, ora davanti a voi tutti: l'arte è viva! La terra desolata si popola e si avvale di dita maestre, arti complessi e semplicissimi che muovono, smuovono e pervadono le nostre sedute attraverso filtraggio e integrazione tra elementi estranei, diversi, parziali, ma facenti parte di un tutto concettuale e reale. Mi abbracci, nel buio della sala, la vedo passare dietro, la tua mano percorre le mie spalle e si ferma a cingermi e solleticare la guancia. Distintiva rifusione della nostra vita nel gioco d'aria sul palco. Quel racconto è improntato dalla nostra fruizione attiva, essenziale attitudine a vivere la scena da co-protagonisti in incontro e combinazione di eccellenze, preciso intento che fa parte dello stile compositivo dell'autore e del contesto in cui recitano gli attori… fa parte di una miniatura equilibrata, rappresentazione solenne e suggestiva che scioglie ogni riserva, essenziale per poter dire di aver preso parte al saggio finale, fischi e fiaschi, e una piantina grassa in camerino.

sabato 28 agosto 2010

babylon (6)


… tutti i progetti che poi finisco per realizzare esistono non soltanto da prima, ma da sempre… È una sensazione, o qualcosa di più, quella che provo e intanto osservo, li guardo mentre sono occupati a far coincidere la propria idea con quello che il cittadino pensa e vorrebbe, compiono tutta una serie di operazioni atte a sviluppare, predisporre tutto in maniera precisa, i tasselli devono essere ordinati e riposti in una bella scatola colorata, un contenitore che aggreghi, stabilisca, confini. Viene poi richiusa e sigillata in un posto sicuro per poi essere riaperto in occasione dell'inizio del grande gioco. Intanto io sogno, sono i sogni che vengono a me, e io li accolgo, li riconosco uno per uno, son piccoli nuclei autofabbricatisi, si affiancano a me nel lungo percorso intrapreso, sparsi un po' di qua, un po' di là, raccolgono intorno a me tante facce, tanti personaggi, danno contorno e si riempiono di contenuto. Siamo spiati, mi dice Linda. Sì sento, rispondo io. Produttori di incubi che s'inquietano e si muovono rancorosi, cercano di evitare le scale, e se passa un gatto nero, cambiano strada o si toccano. Attributi inesistenti. Per ora è un film muto, tonalità pastello, virato seppia, girato interamente con una vecchia cinepresa. Non abbiamo abbastanza fondi, ma faremo tutto con le nostre forze. Sequenza dopo sequenza, ci prepariamo come si fa come per un lungo viaggio… Rino che fai, sali anche tu? Sì ho un buon latte, servirà. Ma voi, non v'imbarcate? No, si aspetta. Quaggiù c'è da fare! Deh non m'abbandonar. Ma no, la forza del destino ci condurrà fuori dalle logiche opportunistiche. Prenderemo posizione, ci mescoleremo, avremo freddo e caldo. È agosto, ma sembra che sia già marzo. Sù il cappello, annoda la sciarpa, indossa il cappotto, amarcord e futuro, quotidiano sottobraccio e tatuaggio in bella vista, morbido e minaccioso, rigido ed elastico, diverso e uguale, attento a cogliere resistenze ed errori, vigile e irresponsabile. Rino m'aspetta, ripescalo, è tornato a galla, l'hanno sbalzato fuori bordo alla prima occasione. E la nave va…

o nelcuoredellanotteinunacasabuiadaqualchepartedelmondo

venerdì 27 agosto 2010

i miei hanno forma

Non si capisce un sogno se non quando si ama un essere umano - L. Sciascia

È tutto un lungo viaggio e come esso inizia, preparativi, controllo, valigia, documenti, carburante e via… Ci si affida a dio o alla fortuna: niente incidenti e poco traffico. L'amo, quell'attesa, quell'ansia, è appagamento per me più di quanto possa essere l'arrivo e la meta, e finisco per fare i bagagli all'ultimo momento. Conseguenza inevitabile ed amabilissima: qualche indumento necessario o il bagnoschiuma che ci augurano buon viaggio dimenticati sul ripiano dell'armadio o del bagno.
Conosco a memoria, e però me ne dimentico sempre, quei momenti e li riassaporo ogni volta con piacere e me ne irretisco. Ma perché? Forse a saggiare la mia resistenza e la conoscenza di me? Ogni qualvolta al risveglio faccio per ripercorrere le tappe del mio sogno stretta tra il bisogno di venirne a capo e il senso d'innocente incoscienza della ragazzina alle prime armi sotto la finestra dell'amato… scenderà e mi abbraccerà o spierà e richiuderà gli scuri mandandomi al diavolo?
Ora capisco quel che allora non avrei mai voluto sentirmi dire: non è quello giusto per te! E chi lo decide? Io, lui, gli amici, i parenti o è scritto in un codice che non mi è permesso decifrare? Ora so. Spiegarlo? Anche se inventassi un metodo, una lavagna su cui esplicarla, non c'è teoria che si faccia formulare, ingessare e cancellare. Lento lento è il procedimento e fatto non di speranze o di desideri… anzi è sregolatezza, impossibilità a seguire un senso unico, occhi, soltanto pupille e ciglia, è una faccia che verrà dritta dicendo: "Te scelgo, te, tra tutti, così come fa un raggio o la fortuna". Gli occhi di un sogno mi scelsero, e sempre crederò fossero i tuoi…


giovedì 26 agosto 2010

embè?


Sono soltanto un pessimo viaggiatore. Questo campanile basterà a guastarmi la giornata e, domani, che cosa mi aspetta altrove? Mi addolorano i danni che vedo compiere nei paesi dove passo. E dappertutto stanno facendo danni. Dovrei imparare la lezione di certi scrittori entusiasti che trovano tutto bello e giustificano col proseguire della vita gli orrori che si commettono in ogni città, ma non ci riesco. Sono un viaggiatore scontento.

La vedi la freccia o no? È quella la direzione, torna indietro, cretino. Sempre a lamentarti, gli scarponi, il sole, l'acqua, le sigarette. È veramente una sofferenza sopportare la tua intolleranza e la tua pigrizia intellettuale. Credevo di aver trovato la terra promessa, ma erravo, e continuo ad errare. Tutto ti duole, tutto ti infastidisce. Tutto esagerazione, tutto saccenza. Siamo erranti, erriamo e continuiamo ad errare, andare, andare e andare. Questo fa il viaggiatore. Ogni motivo è buono per partire. Rendiamo lode al mitico Odisseo, fulcro dell'umano errare, e quindi dell'essere umano, eco di un'intera polifonia, chi sarà il direttore d'orchestra che armonizzerà le note in sinfonia? Sicuramente non tu, incontentabile, non scontento. Non ti farai scrupolo di strappare il credo, arrotolarlo e fumartelo. La verità, caro amico, dal momento che me la imponi, non mi interessa. Sono certo, certissimo, anzi: probabile che la mia unica fede sia la libertà. Io me ne vado. Dal 2000 (Loco - febbraio)

mercoledì 25 agosto 2010

canção


Ti ho sussurrato piano: apri la finestra c'è gran caldo. Ho bisogno che l'aurora entri e mi porti il caffè, che la rondine voli dentro a baciarmi i capelli, che la colomba mi consegni il rametto della pace, che il grande fiore mi regali la guitarra di Paredes con i suoi Verdes Anos arpeggianti e malinconici. Cantiamo le parole che vogliamo sull'inno e mugoliamo nenie nel lutto. M'hai dato sorda malinconia quando te ne sei andato, dimmi, hai lasciato questo letto per non veder più le campane a festa per il tiranno? Lo so nei tuoi quaderni c'è un po' di quello che avresti voluto ancora dire, ma non basta caro, non mi basta. Perché per questi troppo compiacenti e silenti che plaudono ad ogni gesto e assentono ad ogni parola ci vorrebbe la verga del buon giudice e invece a loro è riservata quella piumata del cattivo. Essi non conoscono la gioia di raccontare quella favola, non riescono a leggerla. Io immagino come fare… m'hai rassicurata tu. Bisogna leggere, specie d'estate, tu sei sotto l'albero delle tue letture quando hai a destra la signora che ciancia con la vicina, e sotto l'ombrellone la ragazza prende il sole e sotto la lente scura ammicca al ragazzone muscoloso. Leggere e arricchirsi, seminare e raccogliere, potare e stare all'ombra di quel bell'albero da te cresciuto. Tu insegnerai anche ai nostri figli e ai figli dei figli… questa è la nostra famiglia dello spirito. Chiama i bimbi, falli saltare qui con noi, e apri il libro, loro sanno, loro hanno la goccia che riuscirà a far risorgere la speranza, i tuoi occhiali han riflesso una risposta e un commiato, hai nascosto un sorriso dolcissimo all'ombra di quel cappellaccio che hai indossato prima di partire, lo hai lanciato in aria e hai riso forte, gridando cosìcchè io potessi sentire, non riuscirò mai a salire fin lassù come il girasole, non m'innaffiare oltre…

adeus José

martedì 24 agosto 2010

prospero

Figlia leggi e poi vai. E lei dopo aver letto piange sulla visione del Botticelli. Chi mai potrà aver suggerito quella nascita, quell'abbraccio morbido e l'origine della bellezza? Non c'è alcuna pretesa. Chi non sa decifrare, chi ha visto ma non sa indicare la strada, né spiegare il perché abbia fatto quel percorso, ecco costei o costui si aggrapperanno al primo appiglio e si affideranno ai maghi della truffa, o agli spiriti del male, quelli che affollano l'isola della nostra mente… costruisci ponti, getta le ancore, balza sulle scialuppe e raggiungi la terra ferma. Non puoi continuare ad ignorare, a procedere goffamente intorno al banale, a non riconoscere il trascendente. Spodestiamo il re, costruiamo l'apoteosi dello straordinario. Ascolterò il tuo consiglio. Tu hai letto, e hai riconosciuto i segni e i simboli, me ne hai riempito le pareti, ora mi rimandi al tempo in cui eri bambina, al suo trascorrere e alle mie origini. Difficile? No, assolutamente. Sei così tranquilla, intenta e selvatica che quasi non ti riconoscerei. Sei diversa. Come quell'uccello che si liscia le piume e muove alternativamente il becco vorace ora a destra ora a sinistra spulciandosi, come quella tigre che mi guarda famelica di dietro il baldacchino, come quella lesta lucertola che mi ha sorpassato il piede ed è corsa a rifugiarsi sotto la sensitiva, ritrattasi al tuo tocco. Ho schiacciato il pulsante del mio orologio, è tempo di andare, di muovere e di aprirsi a dimensioni ignote. Sei così giovane, come puoi provar rimpianto, come puoi sentire il tempo che passa? C'è, è un dato inequivocabile, l'età dell'oro che si macchia di verde, trasmette quella linea d'ombra tipica delle selve, è precisa formula matematica dall'insospettabile somiglianza fisica con il dettaglio della nostra esistenza. Il particolare si svela a noi con tale chiarezza da portarci alle lacrime, il ricciolo che incorniciava il profilo si spegne e le mani nervose e duttili si arenano sulla dimenticanza dell'anonimo perdersi. Pende su di me, così vicino che potrei arrivarci e sfiorarlo. Al suo interno si apre una sensazione di angoscia della quale non esistono superstiti, il passaggio s'impone e io varco, la bellezza non è per tutti, l'arte è un mistero da conoscere, soggioga e appaga, via sempre aperta, potrebbe soccombere solo a causa del pregiudizio, mi allontano dalla tragedia… sete, tanta sete! Paura e necessità.
C'è un tempo e un luogo giusto perché ogni cosa abbia principio e fine.

a mia zia

lunedì 23 agosto 2010

gransasso


L'ho visto. Nero, nudo, macabro, bollato, cresta e tatuaggi. Un istrione scatenato e disperato. Magnetico e colossale attore, non si può che restare attoniti davanti alla sua testarda potenza, drammatica e comica allo stesso tempo. Rimane immobile appoggiato all'asta e si pensa, sgomenti, che sia imbalsamato, si viene assaliti dal dubbio, improvviso, che sia abbandonato nella sua eco. Lo prendo al volo, m'accorgo che ho solo quello di andata… sola andata. Mi sento spinta fuori, respinta e sospinta, istintivamente mi aggrappo più forte, non riuscirai a rubarmi il posto, me lo son meritato, astemio ripugnante, guida estraniante, l'unica che non vorrebbe condividere conoscenza e bellezza, ma io son ormai intrappolata, catturata e in prima fila, traghettata verso l'omaggio sudato e faticosamente guadagnato, distaccata da tutti, cruda e pazza, pericolosamente in bilico sul cambio, ruotata a trecentosessantagradi, trascinata nel gorgo di disperazione distruttivo, senza difesa, ché non la vorrei… son curve smussate quelle che ci conducono in cima, ci rallenta il pesante vento, linee bianche nello scuro presagio, emergono e si stagliano, sprofondano e spariscono. Terribile, lento, estremo, vertigine senza sosta, nevrotica entro, cupo, desolata, macabra… mi duole la carica di fastidiose e ruvide punture, di interventi angoscianti, brulicano intorno a me, invadenti e distruttori di equilibrio. Gocce incessanti che intaccano, corrodono, fiaccano, si rincorrono, si sovrappongono, accrescono, implacabili, distruggono… vibro, tremo, scivolo, distorta e fustigata dai fastidiosi bianchi e appuntiti acuti, tappeto insostenibile che sussulta al mio passaggio e scuote la coscienza, lasciando piaghe aperte… per sempre.

domenica 22 agosto 2010

sound track -7


l'uomo che cammina…

venerdì 20 agosto 2010

un nome un titolo un colore un destino


Incompiuto. Tanti i significati. Unico il bisogno di andarlo a rileggere ogni tanto, tutti gli anni. Bianco sporco per la copertina, rosso il titolo, nero l'oro, oscuro il destino. Chi ha scelto questa veste editoriale è un genio. Al di là delle prime perplessità è stata sicuramente una gran trovata e i significati che riesco a trovare in pochi minuti, appena acquistato, son già tantissimi. Lo impolvero e lo impiastriccio immediatamente, lo impronto, lo stringo, lo annuso, so già che ci rimarrò attaccata per giorni, ma quest'è leggere, entrare senza chiedere il permesso, usare le pagine per pulirsi i piedi, per asciugare le lacrime, per lasciare un bigliettino, una lavagna bianca su cui appuntare tutte le nostre vite, i nostri incontri. Paura ed inquietudine, destino comune, tutto scritto lì. Crisi, problemi, debolezze e forza, sofferenze e conquiste che sprofondano senza più poter respirare e tanto meno risalire, quella chiazza è troppo vasta, troppo. Infinita. Una marea nera di contraddizioni, di fatti senza conclusione, quasi quanti ne ho io già all'età tenera di vent'anni. Non so nemmeno cosa voglia fare di questa vita, piena e vuota allo stesso tempo. Mi giro e mi rigiro e mi aggiro, persa, già prima di cominciare ad andare. Quello non mi dà nulla, quell'altro non mi convince, questo mi piace ma, cavolo, quanto pretende. E poi chi mi dà il diritto di giudicare quello, questo e quell'altro? Vogliamo fare un pochettino di autocritica? Un bell'esamino di coscienza… ce l'ho? Mi sento parassita, quasi quanto quei liturgici personaggi che ritrovo descritti così bene, e dopo una bella litania di un minuto già mi faccio schifo, ma almeno non sono al potere e sono ancora in tempo per cambiare rotta. Dopo circa vent'anni potrei dire che nessun'opera come questa è attuale, valida, fatta di analisi e previsioni a precorrere situazioni e avvenimenti di oggi. Come lui stesso lo definì è proprio un libro vulcano e ogni volta, aperto, erutta e lancia realtà, è un processo formale vivente. È così che scopro di non aver mai creduto, a contatto con il nulla dentro me, l'ho vissuto e l'ho ritrovato anche nei momenti in cui speravo di veder nascere e crescere quel qualcosa dentro e fuori di me. Indivisa. Terrorista e sdoppiata, A e B in un'unica persona. Un bel volo cosmico questo che attinge dalle mie vite, dalle mie esperienze, quanto di più fantascientifico, come dice egli stesso Non lo farei mai. Penso che sia impossibile per un narratore fondarsi su esperienze non avvenute realmente. Non ce n'è bisogno, accadono tali bestialità che sarebbe anche inutile. E basta una notte in cui sogni per scrivere per anni, non ricordo, ho visto ma non so cosa, dici al mattino e intanto scrivo, scrivo e scrivo. Interruptus. Mangio e digerisco una gran quantità di personalità con una furia metabolica indicibile dell'atto creativo e nello stesso momento in cui dò la vita ai miei testi avrei voglia di distruggerli, per liberarmi di me. I miei dubbi, le mie domande fanno parte di me, impossibile eliminarli, in questo so essere onesta e pulita, turbata in maniera permanente come coscienza democratica necessaria e vitale. Un grande punto interrogativo morboso e brulicante mi cresce sù, la testa il tondo imperfetto plumbeo attonimento. Tra un po' mi sveglierò e sarà stata solo un'impressione, l'inganno di un sogno. Inedito.



La notte intorno era tiepida, estiva. C'era però, insieme, quel brivido di fresco che precede l'alba: infatti i piedi erano umidi di rugiada. Come il cielo, a oriente, da una semplice, sterminata lastra blu-inchiostro appena schiarito, cominciò a screziarsi in una infinita serie di preziose sfumature tra cui cominciava già a prevalere una striscia, quasi dura, d'un rosa cinabro, altri rumori misteriosi, come (fiati, sospiri), cominciarono a farsi sentire nell'oscurità. Finché di colpo, questa volta senza possibilità di equivoci, cominciarono a trillare delle allodole. Quasi altrettanto improvvisamente, l'aria fu luminosa. La luce era lì, già pronta, una luce triste e perlacea, ancora fredda. Ma essa rivelò tutto, senza (possibilità di smentite), in una grigia fatalità. Incolore.

giovedì 19 agosto 2010

BOGUS (5)


Hai un bel profilo. Che ne diresti di aiutarmi nel produrre una cosa carina? C'è da pensare a un logo che ci rappresenti e parli di noi. Una strategia. La studiamo e la realizziamo integralmente con le nostre forze. Facciamo un viaggio, rincorriamo i nostri vissuti, li raggiungiamo e riportiamo tutto in un video, lo mostriamo poi in una proiezione pubblica in perfetta sincronia. Sarà un mix esplosivo. Un monumento di fronte al quale inginocchiarsi; il primo, acclamato e imitato, un episodio da incorniciare, inserito in un più vasto programma. Al secondo ascolto apparirà ancora ostico, ma poi col tempo serrando e continuando ad attaccare sulle fasce, vedrai… sarà devastante. L'apice: il controllo, in funzione del quale inserirsi in affondi continui e incessanti, sali con fatica, ma guadagna la cima, i muscoli tirano, hanno sete, infinita, credi che la discesa sia meritata? Male, molto male… la volata in basso è peggiore che la lenta arrampicata… piano, lento, sostenuto, senza fretta. Riprendiamo fiato per due o tre anni, e poi ritorniamo più forti e decisi di prima. In quel frangente saranno disperati, inconcludenti, indecifrabili e incapaci di organizzarsi, lì, a quel punto il colpo di grazia, l'essenza di tutto il piano: la carta religiosa, colliderà con l'altrui discontinuità e li sbaraglieremo, urleremo la nostra parabola, il nostro inno, fanatici e ammiratori, prostratevi e adorate. Sì prendi appunti, che non ci sfugga nulla, è in questi momenti che vien fuori tutta la rabbia recondita e dà vita ad allucinate apoteosi, dobbiamo sfruttare, trarre appieno il valore di queste visioni! La nostra separazione durerà poco, giusto il tempo di raccogliere energie, unire poteri, creare legami e alchimie distorte. Suggelliamo la nostra intesa. Evochiamo il dio della forza. Vedo una spirale che si eleva e sovrasta. Una serie di valori matematici precisa e condensata, massiccia e invincibile.
Hai segnato tutto? Sembriamo io e te. Ci servirà, tutto questo testo, non ho capito bene cosa dica, ma va bene, lo sento!
dall'intercettazione telefonica, in data 20 settembre 1938, tra A. e B., si dispone cattura con arresto immediato dell'illusione della razza e del delirio d'onnipotenza.

o gli analfabeti

martedì 10 agosto 2010

the long goodbye


invites your eye to come her way…

lunedì 9 agosto 2010

con garbo


Sono io? Dimmi… son stanca! Che aspetti? Vado. Questo non è il luogo dove vorrei girare un musical, né dove il cabaret salirebbe su quel palco malconcio a cantilenare una bella presa in giro. Sei all'apice? Direi… emerge già la punta dei piedi, è stato un continuo saliscendi, tra pochi giorni sarò in rotta di collisione. Repentino e circolare il moto della meteora che mi sorpasserà su sentieri incolti, mi avrà consumata, dopo avermi appuntito la suola a tasselli dei miei scarpetti da trekking, e io arpionerò le zolle per riportarmene a casa non poche tracce… polvere, carta, cemento. Ma non c'è erba? In mezzo, sì. La brucano e la smuovono con le corna a rami, la zappettano con le unghie affilate, la annusano con i denti voraci, la insinuano con le ali possenti, in picchiata sui miei occhi e dentro le mie fonti. Non dimenticare il binocolo. Vedo. È il trionfo dell'immaginazione sulla banalità delle provocazioni intellettuali, aliene e sconvenienti. Seduzione alla quale non rinuncio. Parto a bordo di impulsi sonori, interrompo la routine produttiva, e ricollego i fili di una serialità artigianale, mai abbandonata. Visita. Porto in dono il pensiero e le mani. È una sfida con seguito. Annodo e sciolgo il bianco fazzoletto dell'amicizia per lasciar cadere e crescere i semi dello stimolo e della creatività, lontano da tentazioni autoreferenziali di celebrità mediatica. Riposati. Declino in maniera inedita l'impegno e la fotografia. Agli abituali scatti di vita mescolerò grottesche sequenze intime, soppianterò il brusco nero con l'ammiccante kimono oro, sotto, in schianto fragoroso, la cangiante seta avvolgerà sogni e disperderà i nervosismi… involucro e sostanza. Non prenderti sul serio. Io non balbetto piagnucolii, non ho mai elemosinato la carezza dopo lo schiaffo, l'ho sempre seppellito sotto il paradosso. Ugola forte la mia… folle e marziale. Una risata ci seppellirà… Non ero io a ridere, ritornello una caricatura, il condensato di tragico e comico addio: il tuono di rinoceronti in fuga, elefanti e tigri pacchiane… questa città non è abbastanza grande per entrambi, ma non sarò io colui che se ne andrà.

Zampillerò lontano da oggi
ho sognato la bellezza di un viaggio,
e la forza e il coraggio di un rapace
e ho fatto un volo, dal piano più alto
guardo giù, com'è diversa la traccia del mondo.

venerdì 6 agosto 2010

il cuore ad est

Troppo distante. Mi ci vorrebbe un viaggio oltre quest'universo per ritrovarlo. Mi ha ingannata non c'è alcun dubbio, m'ha detto piano che sarebbe tornato e invece vuoto… svuoto gli armadi, metto a parte i feticismi raccolti negli archivi e li sposto, deciderò in seguito se buttarli o meno. Ma già so, lo farò. Non sono adatta alle collezioni, troppa cura e troppo ordine che non m'appartengono. Sto solo ritardando rinviando riposando le mani stanche e gli occhi pieni di te delle promesse ossessive e degli appuntamenti monotoni… in mente un film, sulla tua spalla la mia tempia, in una sala buia, proprio come lei e lui e l'amore impossibile. Sfuocato ho detto all'uscita… e tu cosa? morbido elegante delicatamente pungente. M'è rimasta quella puntura che non stillava sangue e che ha sgorgato acqua anni dopo. Il buon senso e la ragione […] non m'hanno più spinta alla pietra e alla fotografia, ma fuori campo una voce al telefono mi ripete sempre a presto. Dietro quella porta, inutile bussare, inutile lasciarla aperta, tutta la carnalità del nostro amore incorporeo e sospeso. Il ricordo è qualcosa che può vedere ma che non può toccare.



I nostri anni gloriosi son passati come fiore

giovedì 5 agosto 2010

diario di una pazza

Io prima che venisse affisso quel manifesto sarei stata considerata un'alienata, una poveretta in preda al delirio… una di cui aver paura, diversa e disobbediente ai canoni della ragione e delle regole sociali. Dai loro récit de rêve invece posso considerarmi un'eroina dell'inconscio che precorre, che sogna ad occhi aperti e che ne parla ad altri, ipotetici o reali lettori, resi partecipi della mia follia. Sono o non sono una LUNAtica? Vivo e percepisco la mia scissione in due parti nemmeno tanto egualmente sviluppate e vive, doppiezza tormentata e tormentosa e perciò scrivo, annoto, quelle memorie e quei pensieri che mi permettano di trovare il punto di rottura che mi separa dalla vita normale. Qualcuno l'ha chiamato perturbante quel confine tra fantasia e realtà, labile e simbolico e nevrotico; io lo chiamo su reale, è per me molto più ampio del reale, più onnipotente il pensiero del materiale. Cosa vuoi comprendere dei miei racconti? È finzione, dici tu, e non può essere esaminato in base ai canoni della realtà esterna. Sì? E allora perché son così turbata da quello che accade ai personaggi, agli avvenimenti, alla fiaba? Perché mi sento inserita nel fantastico da me creato, personaggio insieme agli altri? La creatività è un metodo per comprendere se stessi, è una valvola di sfogo alla tensione, è la scrittura e la scultura di un dolore, è il pieno dei nostri vuoti. Sì? E allora com'è che sento sempre così suicidata la mia esistenza, così gravosa la mia permanenza, così insostenibile questo interrogativo…

Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,
magari…
magari
morire.
Madonna!
Gesù!
Non più!
Non più.
Mia povera
Fontana,
col male,
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch…

Tutti coloro che scrivono sono un po' matti. Il punto è rendere interessante questa follia.


mercoledì 4 agosto 2010

chi è? (4)

A trent'anni di distanza siamo qui a parlare sempre delle medesime problematiche, con la stessa verve […], con uguale enfasi […], con pari trasporto […]. Sarebbe stato forse più conveniente per tempo utilizzare quelle persone che propostesi avessero potuto dare una svolta, invece che continuare a girare intorno, sempre più velocemente, e gira gira rigira, non sempre nello stesso verso, ho detto orarioooooooo!, e mescola energicamente, tieni bene il cucchiaio, che purea è? Ma quante volte devo dirlo? Bisogna star attenti a che non si attacchi sul fondo, non si bruci e non vengan fuori noccioli… noccioli? Sì, nùzzl. Le fave p'ì nùzzl non si posson proprio mangiare! E nemmeno quelle che fanno ìacque! Sì annacquate, un liquido che sommerge tutto l'inutile vostro lavoro e aivoglia aggiungere farina, pangrattato, riso… tutti questi espedienti peggiorano la già gravissima situazione in cui versano le vostre, chiamiamole, fave! Non è grave? Ma vattene vai! Incapaci, incompetenti, orgogliosi e superbi. C'è ancora chi si chieda: «ma è possibile che una semplice ricetta, facile da eseguire, che ha come unico ingrediente un legume reperibile ovunque qui metta così in difficoltà?» Possibile? Sicuro! Basta guardare sulla tavola, tutt'apparecchiata con piatti e coppette piene di ogni ben di dio d'accompagnamento al famoso piatto pugliese e si capisce. Mangiate il resto, le fave fanno schifo. Massaie del nulla. In questo lungo lasso di tempo che avete imparato? Trent'anni. Li vedo tutti, piccoli, alcuni nemmeno ancora nati, nei progetti e nei sogni dei loro genitori. Mio figlio diventerà famoso. Ballerà, canterà, ammansirà le folle in aula, disegnerà o costruirà palazzoni, sfilerà, giocherà a pallone in una importante squadra, dirigerà un'orchestra, guarirà i mali del secolo, avrà una banca tutta sua… False immagini, abbandoni, rigidezze, falsità, solitudine, accordi-disaccordi. Son cresciuti e non fanno niente di tutto questo. Cioè qualcuno sì, per metà vita, per l'altra è impegnato in rapporti incestuosi con la propria onestà, e chi avesse profetizzato, in assenza temporanea di coscienza, che, gli altri, avrebbero avuto vita difficile, dovrà guarire egli stesso da queste crisi di onnipotenza, farsi un lungo esame di coscienza e decidere finalmente di tagliare quel cordone ombelicale che lo lega alla radicale e angosciante aridità che ci attacca e ci indebolisce. Dovreste crescere e far crescere. Dovreste andare e lasciar vivere. Le sapete cucinare le fave? No? Siete un vergognoso e irritante fèf'ì'fògghie?! E allora mangiate ciallèdde tutti i giorni. mhhhh… Penso che anche per preparare quella ci vuol arte… che rimane? iàcque càll p'à furcìne! Sì mi sembra giusto! Gong! A tavola, 'ncapriète per tredici, il capotavola, fa le parti per tutti, uguali! toc toc… è inutile bussare qui, non vi aprirà nessuno!

o valledilacrime

martedì 3 agosto 2010

setta?


Ne faccio parte, non in modo costante, ma a tranches, un giorno sì, quello dopo no, in un mese due o tre volte, insomma libertà assoluta anche per lui, che cavolo.

Di tutti i piaceri che lentamente mi abbandonano, uno dei più preziosi e più comuni al tempo stesso è il sonno.
Il lento scivolare nel sonno, semplice a dirsi, esperienza miracolosa per gli insonni. Mi sento così stupido, così impotente. Avrò più tempo degli altri per fare, progettare, lavorare… ma qualcuno l'ha chiesto? Forse avrò espresso questo malsano desiderio senza rendermene conto? Sarà ostinazione malata della mia mente a ragionare, definire, costruire? Mi rifiuto di pensare che rifiuti, per conto mio senza accordo scritto, di abdicare di fronte alla divina incoscienza degli occhi chiusi. Non sarebbe più saggio che io chiudendo gli occhi mi affidassi al flusso saggio dei sogni?
Lasciati andare… non è impossibile, abbandonati! Guarda che ti rispondo male, ho i nervi a fior di pelle, non ho affatto dormito e tu insisti, sei crudele o stronzo, no, tutti e due insieme! Come se non volessi anch'io, perché voi credete che ci si abitui, che l'organismo dopo un po' cambi i suoi ritmi. E io invece voglio abbandonarlo questo corpo, andarmene in giro a cercarne un altro, uno che non pensi, non immagini, che sia capace di D O R M I R E! Fluire, immergersi, discendere nelle acque fresche e dolci e ristoratrici… bella immagine, sì, non c'è che dire. E vedi che non smetto di farlo? Io anche quando 'riesco' ad addormentarmi rimango vigile, partecipe del tutto ciò che mi circonda, lieve mi tocca il sonno, ma talmente lieve che nemmeno lo sento e, sì, continuo ad intercettare i molteplici piani delle realtà, li percorro e li rianalizzo; non contento, ricomincio, capto tutti i messaggi interiori, uno ad uno, riaffiorano fino alla coscienza, appunto, vigile, e mi conduce all'impalpabile miracolo dell'attraversamento del tempo e delle cose. Eh? cosa? Passa più tardi, non vedi che c'è già la fila? Quelli che vogliono ritornar giovani e belli, quando cantavano sulle navi e conquistavano attrici in erba che poi hanno sposato in fondooooooooo… addirittura? Quelli che sono in lista per sostituire il sottoscritto ancora più in fondo.
dal 2008 (Dicembre - Loco)

lunedì 2 agosto 2010

il pesce salvo


Non che me ne importi tanto, ma proverò a spiegare cosa c'è che non va nel pesce d'allevamento. Non ho dubbi che questo sia probabilmente l'unico modo che avrei per mangiarne in periodi dell'anno proibitivi per esempio. Una volta ho comprato al porto di un paesino a 25 km da casa mia. Nel cartoccio il buon Tuccio mi ha messo un cefalotto, tre triglie e un dentice che ancora mi strizzava l'occhietto vivo mentre lo squamavo e lo pulivo delle interiora. In poco tempo, tra schizzi e piaghe alle mani, si è riempito il cucinotto di fatica, di sudore e di esclamazioni in dialetto, improperi al ragazzino che non tira sù, soddisfazione per il pescato… non vi dico il profumo, ché dovreste provare ad immaginare, mescolate in pochi secondi al pomodoro, prezzemolo e aglio le tre triglie eleganti signorine a spasso, cotto al forno con due fettine di limone, rosmarino, sale e pepe, il cefalo mi saluta contento… e il dentice con olive, aglio, olio e aceto? Una delizia. Toh, ho dimenticato le spiegazioni sul perché preferisca il mare (o il fiume, o il lago) all'acqua degli allevamenti. Non sono io che devo… chiedete a lui.

Ho tirato su piano e alla fine, estenuato dalla sua stessa resistenza, il pesce si è lasciato andare alla fatalità. È solo questa la ragione per cui si muore. "Stia attento, quando lo tira fuori, ha una dentatura da luccio..."
Ma non ero in grado di tirarlo fuori. "Dia qua."
Due secondi dopo il lucioperca aveva abbandonato il suo elemento naturale. Rabdomant l'ha staccato con un sorriso da buongustaio.
"Carino il ragazzo, eh?".
E l'ha ributtato in acqua.
Il lucioperca, che tra le sue dita era come morto, è esploso di vita a contatto della Senna.
"Solo per fargli sapere che Dio esiste," ha spiegato Rabdomant, "e che non bisogna abboccare al suo amo."
Ho indicato le lasche, i ghiozzi, i pagelli, tutti i bianchetti del nostro cesto, i due persici e il pesce gatto e ho domandato:
"Perché lui sì e loro no?"
"È proprio il genere di interrogativo che Dio non si pone."

domenica 1 agosto 2010

Leave your sleep


non è un'utopia… no